Lettera di mons. Giulietti per il Tempo di Avvento

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Lettera di mons Paolo Giulietti per il Tempo di Avvento

LIBERACI DAL MALE

VIVERE CON SOBRIETÀ, GIUSTIZIA E PIETÀ IN UN MONDO VIOLENTO

È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.

(Tt 2,11-13)

Carissimi,

iniziamo l’Avvento 2023 con le immagini di quanto accaduto in Terra Santa: le azioni disumane dei terroristi e la devastazione di un intero territorio, con migliaia di morti tra la popolazione civile, tra cui molti bambini. Gli insistiti appelli del Santo Padre e la preghiera che cristiani, ebrei e musulmani hanno elevato a Dio da ogni angolo della terra non hanno evitato uno spargimento di sangue che ha rinfocolato tensioni e divisioni e ha seminato un odio che non mancherà di portare il suo micidiale frutto nel futuro.

Che significato può avere, dinanzi a questa e altre tragedie, accogliere l’annuncio di speranza del tempo di Avvento e celebrare il Natale come festa di pace?

Un mondo sempre più violento

Ciò che sta accadendo nella Terra del Signore è parte di una situazione che Papa Francesco da tempo chiama “terza guerra mondiale a pezzi”: decine di conflitti che coinvolgono varie porzioni di umanità. Quello in Ucraina è per noi il più evidente, ma ne esistono altri di cui poco si sente parlare, alcuni dei quali si trascinano da anni, producendo morte, povertà, distruzione e migrazioni forzate.

Accanto alle guerre, la crescita della violenza interessa anche le relazioni quotidiane, in tante e diverse forme, a cominciare dalla teoria quasi quotidiana dei femminicidi e dalle stragi perpetrate da persone squilibrate o da terroristi.

Anche in altre circostanze emerge una sconcertante noncuranza per la vita altrui: omicidi stradali, incidenti sul lavoro, atti di aggressione immotivati o sproporzionati, morti in mare che non fanno quasi più notizia.

La violenza si manifesta pure nelle relazioni quotidiane, sempre più aggressive nel linguaggio e nei toni, nel dibattito pubblico come sui social media: l’altro, quando non la pensa come me o dà fastidio, diventa subito un nemico da combattere e possibilmente annientare.

A questo clima, soprattutto tra le nuove generazioni, contribuiscono anche certi brani musicali, film, serie TV, videogiochi, giochi di ruolo… che propongono parole e scene di violenza, le quali entrano con forza nell’immaginario e “fanno cultura”.

Sortirne da soli?

Di fronte al montare della violenza, è facile cedere alla tentazione della paura o dell’indifferenza; nell’uno e nell’altro caso ci si chiude in se stessi, preoccupandosi di risolvere – possibilmente presto e a buon prezzo – le proprie difficoltà, e disinteressandosi di tutto il resto. Questo atteggiamento riguarda le persone, le comunità e gli stati; nasce, oltre che dall’individualismo imperante, dalla convinzione che ci sia poco altro da fare.

Don Lorenzo Milani, di cui ricordiamo i cent’anni della nascita (27 maggio 1923), proponeva ai suoi ragazzi: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia” (Lettera a una professoressa). Dalla guerra e dalla violenza non si esce se non insieme, cioè con l’aiuto di Dio e la compagnia dei fratelli e delle sorelle. Non c’è altra via possibile, poiché avarizia e indifferenza sono parenti stretti della sopraffazione e della cattiveria, come scrive l’Apostolo: “Da dove vengono le lotte e i contrasti che ci sono tra voi? Vengono dalle passioni che continuamente si agitano e combattono dentro di voi. Voi desiderate qualcosa e, se non potete averla, allora siete pronti a uccidere. Voi avete voglia di qualcosa e, se non riuscite a ottenerla, allora vi mettete a lottare e a far guerra” (Gc 4, 1-2, Traduzione interconfessionale).

Viviamo pertanto questo tempo di Avvento come opportunità per uscire insieme dalla violenza e dalla guerra, lasciandoci guidare da Dio: “Seguendo la parola delle tue labbra ho evitato i sentieri del violento” (Sal 17, 4).

“Si vis pacem para bellum”

Si diceva nell’antica Roma: “Se vuoi la pace prepara la guerra”. È ben presente anche oggi la convinzione che dinanzi alla crescente conflittualità ci si debba armare: ciò garantirebbe una certa “deterrenza” e, in caso di guerra, la vittoria. L’aumento delle spese militari e lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma, ivi inclusi quelli nucleari, sono una scelta di molti governi; nel 2022 sono stati spesi nel mondo ben 2.240 miliardi di dollari in armamenti (dati SIPRI). Dinanzi agli inevitabili sacrifici che ciò comporta sul piano sociale (tagli a sanità, istruzione, previdenza, sviluppo, cooperazione…), si arriva a teorizzare la necessità di passare dal welfare al warfare, in nome del bene supremo della sicurezza.

Tuttavia quella che sembrerebbe una ragionevole scelta ispirata da buon senso si rivela una strategia dissennata; la storia, infatti, mostra come la disponibilità di armi abbia prima o poi condotto a usarle, producendo conflitti tanto più disastrosi quanto maggiore era la loro potenza. Inoltre, dalla seconda guerra mondiale in poi, gli obiettivi civili – città, fabbriche, ospedali, case… – vengono colpiti alla stregua di quelli militari, producendo morti come e più degli eserciti al fronte. Prepararsi alla guerra, infine, sottrae risorse preziose allo sviluppo dell’umanità. Nel 1954 Raul Follereau chiedeva: “Datemi un aereo, ciascuno di voi un aereo, uno dei vostri aerei da bombardamento. […] Ho calcolato che col prezzo di due di questi aerei di morte si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo” (Lettera a Eisenhower e Malenkov).

L’alternativa della speranza

“È apparsa la grazia Dio”, ricorda Paolo al discepolo Tito: l’evento dell’incarnazione è sorgente di speranza, poiché ci rende partecipi della salvezza, ci rende capaci di vincere i desideri cattivi e ci abilita a vivere in modo davvero alternativo alla violenza: con “sobrietà, giustizia e pietà”. 

Vivere nella sobrietà. ”Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico, […] che  fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare” (LS, 203). L’alternativa a questa illusione è costituita dalla sobrietà: “un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. […] La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario. Infatti quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono coloro che […] sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona e ad ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà più semplici e ne sanno godere” (LS, 222-223). Il tempo di Avvento ci ammonisce a praticare convintamente la sobrietà, come via per sperimentare il dono della pace cantata dagli angeli nella povertà di Betlemme e per evitare di porre fiducia in ciò che appare inconsistente dinanzi alla prospettiva della morte e del Giudizio.

Cercare la giustizia. Abbiamo ricordato da poco i 60 anni dell’enciclica Pacem in terris, scritta all’indomani della “crisi dei missili” di Cuba, che aveva condotto sull’orlo della guerra atomica. In essa il “Papa buono” indica come via per la pace il rispetto dei diritti della persona e la ricerca di giustizia tra i popoli. Chi vuole la pace deve adoperarsi perché tutti possano accedere ai beni della terra e condurre una vita dignitosa. L’economia predatoria devasta il pianeta e accresce le diseguaglianze, innescando piccoli e grandi conflitti, a volte suscitati per procurarsi risorse in modo vantaggioso. La prosperità di una piccola parte degli uomini si poggia sulla povertà di tutti gli altri; ciò che accade a livello globale si riproduce nelle società sviluppate, dove ampie fasce di popolazione cadono nell’indigenza (più di due milioni di famiglie in Italia, secondo l’ISTAT).

Ognuno di noi può essere operatore di pace, se rifiuta piccole e grandi ingiustizie, a cominciare da quelle commesse in prima persona. L’Avvento propone di “preparare la via” al Signore con un sincero impegno di conversione personale e comunitaria verso il bene, con speciale attenzione ai poveri vicini e lontani.

Coltivare la pietà. Ci colpisce la spietatezza di una violenza che non si arresta dinanzi a bambini, innocenti, vecchi, inermi… convinta che questo sia la “soluzione finale” della situazione di conflitto. Quante volte è accaduto e accade!

“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango, che non conosce pace,
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare,
vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato”. (Primo Levi, La tregua)

Altra, secondo il Vangelo è “l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune”(FT, 67).

Il tempo di Avvento celebra il farsi vicino di Dio alle ferite dell’uomo, la sua attenzione al grido del popolo: “Signore, piega il tuo cielo e scendi!” (Sal 144, 5). Per viverlo bene, abbiamo a nostra volta bisogno di riscoprire la compassione per ogni altro essere umano, la cui vita è preziosa agli occhi del Creatore.

Maria, discepola nella speranza

In Avvento è soprattutto Maria che ci accompagna ad attendere e accogliere Gesù: da lei possiamo imparare cosa significhino sobrietà, giustizia e pietà.

Nella povera casa di Nazareth l’umile serva del Signore mette tutta se stessa a disposizione del progetto di salvezza di Dio, niente cercando se non di compiere la volontà dell’Altissimo. Riconosce l’opera divina nella propria vita e decide che questo è il suo vero tesoro, da perseguire con tutta la determinazione del suo giovane cuore.

Nel cantico pronunciato a casa di Elisabetta gioisce per la giustizia di Dio, che non si colloca dalla parte dei superbi, potenti e dei ricchi, ma dalla parte degli umili e degli affamati, dello sterminato popolo degli anawìm: i poveri che egli predilige.

Maria si mostra madre pietosa nella festa di Cana, dove manca il vino della gioia, e sulla cima del Golgota, dove si consuma la morte del Figlio, immagine di tutte le vittime innocenti della violenza e del peccato.

La Vergine è Madre di ogni speranza, poiché con la vita e la parola invita a fidarsi non delle logiche solo apparentemente sagge dell’uomo, ma della sorprendente potenza di Dio: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2, 5). Di lei, più che di ogni altro, Gesù può dire “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

Attendiamo insieme

Alcune opportunità ci aiutano a vivere meglio l’Avvento:

  • i “Mercoledì dell’alternativa”: quattro appuntamenti serali – tre in rete e uno in presenza – per aprire la mente e il cuore a prospettive di pace, e per invocare nella preghiera il dono della speranza;
  • la colletta dell’Avvento di fraternità, promossa dalla Caritas diocesana e destinata ad aiuti medici e sanitari per le persone e le famiglie impossibilitate a ricevere cure adeguate a motivo della mancanza di risorse.

Animati dalla speranza

“Siamo animati dalla cara e soave speranza […] di giungere quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage” (Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917).

Di fronte al ripetersi di stragi altrettanto inutili, anche noi viviamo l’Avvento animati da una ferma speranza: Dio opera nella storia per condurre l’umanità verso la pace; accende sempre nelle mente e nei cuori degli uomini, soprattutto dei giovani, il desiderio della concordia e il rifiuto della violenza. Coglieremo un giorno i frutti maturi dell’impegno speranzoso di questa difficile stagione.

7 novembre 2023

+ Paolo Giulietti

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